Quando salii al Preikestolen, il Pulpito di Roccia simbolo della Norvegia wild nature, ebbi un incontro ravvicinato con una specie a me fino ad allora sconosciuta: il vecchio in crociera. 

Era metà luglio 2013, il mio viaggio da Oslo a Capo Nord era appena cominciato. Dopo aver attraversato in bicicletta le montagne che separano la capitale dal mare per circa una settimana, avevo finalmente raggiunto il primo, bellissimo fiordo: il Lysefjord. La fama di questo fiordo è dovuta sicuramente alle sue straordinarie acque verdi, ma anche dalla presenza di due attrattive uniche al mondo. Tra le montagne che costeggiano questo fiordo, infatti, stanno appollaiate due magie della natura che non hanno eguali sulla Terra: il Kjeragbolten e il Preikestolen.

Dopo aver già sfidato le vertigini sul sasso del Kjeragbolten ero pronto a una nuova sfida con la natura norvegese, ed ero estremamente motivato a salire a piedi al famosissimo Pulpito di Roccia per una foto con i piedi a penzoloni.

Risalii tutto il magnifico Lysefjord, pedalai per 15 km per poi svoltare sulla Preikestolvegen dove con gli ultimi 5 km di ripida salita si giunge all’attacco del sentiero di due ore e mezza che conduce al pulpito. Nel mentre, lungo la strada, mi godevo il bellissimo bosco di conifere che fiancheggiava la carreggiata, ricco di odori nuovi. Ricordo che dietro una curva incrociai lo sguardo di un cervo e che i leprotti attraversavano spesso per scendere a bere sul lago appena ai margini del bosco. Ma più di tutto mi colpirono i colori delle farfalle. Colori bellissimi, mai visti prima. Blu elettrico, arancione fluo, nero e altri mix straordinari.

Mi godevo questa visione bucolica, avvicinandomi sempre di più a uno stato di pace interiore, quando un rumore alla mie spalle iniziò a ronzarmi nella testa. Mano a mano che si avvicinava, riconoscevo qualcosa di familiare in esso, una nota già sentita, un suono che mi evocò sulla punta della lingua un ricordo che non riuscivo a definire. Mentre sforzavo l’orecchio per captare qualche informazione in più, all’improvviso capii cosa stava arrivando: Milano! Non c’era dubbio, il traffico di Milano aveva deciso di trasferirsi al Nord, sperando di sfuggire alla calura dell’asfalto lombardo.

Ecco che un bus comparve in lontananza e veloce mi raggiunse e sorpassò. Iniziai a contarli. Uno, quattro, otto, dodici. Dodici pullman diretti al Preikestolen.

Un brivido gelido mi scese lungo la schiena e iniziai ad accelerare la mia pedalata. “Posso farcela”, mi dissi. “Devo farcela!”.

Arrivai trafelato all’imbocco del parcheggio, ma lo sforzo fu vano. Una schiera di turisti spagnoli in crociera era già in marcia sul sentiero. Età media 70 anni, vestiti per la passeggiata in centro dopo la messa domenicale, tutti con le scarpe da ginnastica nuove, bianchissime, palesemente comprate apposta per l’occasione. Al collo un porta documenti contenente informazioni sanitarie (gruppo sanguigno, allergie, problemi cronici e pregressi) e i riferimenti in caso di smarrimento, proprio come una valigia (“In caso di smarrimento riconsegnare presso la nave Costa Eterno Riposo, ormeggiata a Stavanger”).

700 persone in coda lungo il sentiero, in difficoltà a superare anche i passaggi più semplici, frequentemente in sosta a gruppi numerosi, distratti dal fotografare fiori e sassolini.

Marciavo a passo d’ospizio dietro all’allegra combriccola spagnola quando, giunto in cima a una radura vidi una coppia sui 65 anni con il figlio 30enne che temporeggiava rispetto al resto del gruppo. La madre aveva trovato un’attività che sembrava molto divertente a una prima occhiata. Saltava a piedi pari da una pozza di fango all’altra, in cerca di una seconda infanzia che, però, non tornerà mai. Pensai volesse testare le doti tecniche delle sue scarpe nuove, comprate al Decathlon il giorno prima della partenza. Saltò nella prima pozza provocando le risate del marito e del figlio. “Mah”, pensai io. Saltò nella seconda e ancora un grosso giro di risate e un “mah” ancora più grande del primo da parte mia. Quando saltò nella terza pozza, successe qualcosa fuori da ogni previsione. Appena toccò la superficie fangosa sprofondò a picco fino alle cosce, le risate del marito e del figlio si bloccarono in gola, entrambi si precipitarono ad afferrare la madre/moglie prima che sprofondasse ulteriormente. Tra le urla e l’angoscia dei presenti presero la donna per le mani e con enorme sforzo la trascinarono fuori dalla pozza, completamente ricoperta di fango fino alle vita. Lei rimase stesa a pancia in su per degli istanti interminabili, come a riprendersi dallo shock, marito e figlio seduti a fianco anch’essi provati. “Poteva andare peggio”, pensai. Ma non calcolai che il peggio doveva ancora venire.

Un urlo di orrore uscì dalla bocca della signora spagnola, un urlo straziante, carico di angoscia e dolore. Da qualche parte nel fango denso, profondo quanto un bambino, le erano state rubate le scarpe da tennis nuove, non più bianche per via di quel gioco estremo che la donna aveva intrapreso due pozze prima. Una roulette russa vinta dall’effetto ventosa.

Di scatto si ributtò nella pozza, infilando l’intero braccio alla ricerca delle scarpe, ma il figlio la afferrò per i piedi e la trascinò lontana da quella porta dell’Inferno urlando: “Sono andate, sono andate! Non c’è più nulla che tu possa fare”.

Fu lì che scoppiai a ridere io.

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